Capitolo II
(trascrizione a cura di
Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Ma nel retorno il Paulillo fu arrestato in
questa Piana d’ordine del signor Don Domenico Lucchese, come maresciallo
spagnuolo, che si retrovava con alcune truppe di cavalleria nella detta Piana
(il che a pieno si raccontava). Bensì doppo per mezzo d’alcuni suoi congionti
della città di Santa Lucia - puoco distante da questa - fosse stato liberato,
conducendosi in questa città, ove raccontò il seguito del sudetto signor
Castagnoli al signor Missegla e signor Baroli, ed a tutti gli suoi amici e
familiari, perloché si stava con ogni riguardo.
Acclamazione
del nuovo sovrano Filippo Quinto a Castroreale e, per iniziativa del capitano
di giustizia Corrado Beltran, anche a Pozzo di Gotto e nella Piana. A S.
Marina, durante l’acclamazione, il Beltran pretende dal parroco Pisani il
pagamento di 10 onze per retribuire gli uomini armati che lo avevano
accompagnato Nell’istesso
tempo retrovandosi per Capitan di Giustizia nella città di Puzzo di Gotto -
distante da questa città da miglia sei - Don Corrado Beltran e Bivanco,
naturale della città ed isola di Lipari e descendente dalli Spagnuoli, fatto
per mercede del signor vicerè Maffei innanzi la presente guerra, anzi
proseguendo tal carica per due anni, il che non così allo spesso si costumava
confermarsi per il biennio. Questi non avendo riguardo né al beneficio
ricevuto, né al proprio suo decoro, magiormente che sin a quel tempo non si
aveva acclamato nella comarca il Re Filippo Quinto, pure avevano comparso le
truppe spagnuole in essa comarca sotto li 17 di luglio del 1718, s’unì con
molti villani del Paese armati e publicamente fece la sudetta acclamazione così
per tutta sudetta città di Puzzo di Gotto. Avendosi fatto il consimile in
quella del Castro Reale da tutti quei abitatori, e non contento di ciò suddetto
capitano di Beltran passò col seguito di detti villani armati a cavallo colla
spada sfodrata in questa Piana ed acclamò la Maestà di Filippo Quinto per
Padrone del Regno, volendo inoltre che nel Casale di Santa Marina territorio di
questa - ove resideva il sacerdote Don Giovanni Pisano di questa città da
Parocho eletto dal Reverendo Don Diego Perrone Arciprete - come pure nel Casale
di Curriolo ed in quello di San Marco, territorio tutto di questa città, che si
facesse la medema acclamazione manifestamente, il che s’effettuò dalla plebe e
da tutti i bifolchi che essi commoravano o per genio, o più per timore di alcun
sinistro evento, o meglio per provecciarsi il vitto colle novitadi. Bensì il
sudetto sacerdote di Pisano ben volentieri acconsentì cogli altri nell’esterno
per non farsi adombrare dagli emoli. E circondata esso di Beltran quasi tutta
la Piana col sudetto seguito, continuando l’acclamazione sudetta, verso il
tardi per esser molto affatigato da nuovo si conferì nel detto Casale di Santa
Marina, ove - facendo plausa alla fatiga con tutta l’associamento plebeo - richiese
al Pisano Paroco onze diece di denari affinché puotesse spesare quei villani
che seco conduceva armati. Quale somma liberatamente li fu contribuita più per
timore, che per genio. Anzi esso sacerdote di Pisano per demostrarsi molto
affezionato all’arme di Spagna, colla simulazione necessaria, diede rinfresco
di pane e vino a tutti quei villani facendo con festa e giubilo la medema
acclamazione nel tempo che la ciurmaglia cenava, tanto che a molti suoi emoli
non molto piacque questa sua azzione, benché simulasse. Di più in questa città
s’intese l’oprato del sudetto capitano di Beltran con quella ponderazione che
si può e deve reflettere specialmente dalli suoi congiunti, per essere stato il
fu D. Andrea Beltran suo padre, e suo avo e predecessori naturali di questa.
Le
amministrazioni comunali della comarca si rifiutano di versare i tributi
erariali, provocando duri provvedimenti del Missegla che imprigiona alcuni
amministratori (giurati) nella cittadella fortificata Nel medemo anno 1718 si
retrovava da più anni continui per depositario della Regia Corte, a nome del Re
Vittorio Amedeo allor regnante, Don Giacomo D’Amico di questa sudetta città. E
tutte le tande regie d’ogni mese - non solo di questa, pure di tutta la Comarca
per insino alla terra di Naso, richieste le Universitadi [municipi, ndr] di
qualsivoglia città e terra - si depositavano in puotere del sudetto
D’Amico. Ma sparsa la notizia che quasi tutto il Regno s’aveva dato alla
devozione ed obedienza del Re di Spagna, specialmente quella di Palermo,
metropoli del Regno, inviatosi l’ordine circolare per sodisfarsi dette tande,
non volse alcuna di esse università per tutta la comarca sodisfare menoma
somma, con l’asserzione che tenevano ordine espresso dalli loro baroni che non
s’affettuassi tal pagamento, ma quello si trattenesse a conto del sudetto Re di
Spagna, per aversi impossessato colle sue arme di tutto il Regno. Onde
vedendosi il signor Missegla comandante molto astretto per mancanza di denari a
puoter adempire gli suoi disegni militari nelle fortificazioni designate in
città, per viltà di essa col beneficio reale compose quei cittadini che conobbe
con alcune facoltà per approntarsi le necessarie provisioni per le sue truppe
con alcuni provecci di guerra (come di sopra s’ha espressato), anzi eccesse
nelle domande retinendosi colla forza e comando che teneva alcuni signori
giurati e gentiluomini nella cittadella da prigionieri decorati, quali non
furono assolti e liberi se pria non avesse seguito lo sborzo del richiesto
denaro, protestandosi, e colorendo la richiesta, che tal somma era dovuta alla
Regia Corte dalla città per dette tande regie, e con tutte questi violenti
ordini sempre si demostrò col volto allegro appresso gli cittadini,
inanimandoli a non isbigottirsi, poiché fra breve avrebbe venuto il soccorso
necessario, e che fra questo tempo esso avrebbe difeso la città principale col
Castello, se non li borghi.
Il 16
luglio 1718 giungono da Palermo truppe di fanteria e cavalleria spagnole che
s’insediano nella Piana agli ordini del maresciallo di campo palermitano
Domenico Lucchese. Fugace apparizione di Don Luca Spinola Avendosi dal signor marchese
di Lede, viceré per l’arme di Spagna, accomodato ogni cosa nella città di
Palermo data alla sua devozione, seguì la partenza di tutta l’armata navale
spagnuola, facendo vela per questi mari, come pure s’inviarono alcune truppe di
fanteria con tutta la cavalleria per terra. Quali tutte fra pochi giorni
pervennero in questa Piana sotto il comando del riferito Don Domenico Lucchese,
fratello del signor duca della Grazia, palermitano con titolo del Gran Capitano
della Guardia, essendo lui uno de marescialli nell’arme spagnuole. Il che
avendo osservato tutti li cittadini di questa comarca, specialmente quei delle
città di Santa Lucia, tutti giulivi e festanti acclamarono per Re di questo
Regno di Sicilia la Maestà di Filippo Quinto Re della Spagna, passando pure in
questa Piana il signor Don Luca Spinola, tenente generale nell’arme Spagnole,
con molta cavalleria, bensì questi il giorno seguente si partì per la città di
Messina, restando in detta Piana il sudetto signor di Lucchese. La venuta
sudetta seguì sotto li 16 di luglio 1718, avendo partito sudetta armata navale
da Palermo a 17 di detto mese luglio. Mentre si stava in questa città da tutti
gli cittadini con quel timore, cordoglio e spavento, che da gli saccenti si può
presupponere, per la intromessa guerra, che in ogni modo dovea seguire molto
sanguinosa, magiormente per non essere stati mai praticata né da essi, nemmeno
dagli suoi avi, le straggi d’una si fatta guerra introdotta, per aversi in
questo Regno per molti secoli con ogni tranquillità e pace, solo avendo visto
le revoluzioni della città di Messina nel 1674 seguita, nelle quali non seguì
in questa città eccidio alcuno, e se vi fu desolazione di case e magazeni in
quantità considerabile, nella maggior parte se non in tutto furono sodisfatte
in beni stabili e di rendita dalli rubelli messinesi in questo territorio.
Comparsa
nel mare di Milazzo dell’armata navale spagnola.
Tre cannonate dal Bastione delle Isole ad una nave avvicinatasi più delle altre
Mercordì li 20 del mese luglio
sudetto apparì nello spuntar dell’alba sopra il Capo d’Orlando, nel mar di
Ponente, a vista di questa città, la sudetta armata spagnuola. E per esser il
tempo ed il mare molto tranquilli, e l’aere sereno e senza vento per insin la
sera, ben tardi pervenne essa armata sopra il Capo di questa, e non facendo
molto camino non puotè sino al seguente giorno valicare esso Capo. Bensì al
tardi tutta sudetta armata si retrovava vicino al Porto, tanto lontana che non
poteva esser danneggiata dal cannone, ma una nave s’approssimò tanto che li
furono disparate dal bastione dell’Isola tre tiri di cannoni, senza averla
offesa.
Panico
dei cittadini che fuggono nella parte inferiore della città. Il Monastero del
SS. Salvatore e il Duomo antico adibiti a depositi ed ospedale militare. La chiesa di Santa Maria la
Catena diventa matrice Credendosi
così dal signor di Missegla, comandante in questa, come da tutti gli cittadini,
che senz’alcun dubio la detta armata avrebbe fatto alto nel Capo per battere la
città dalla parte superiore e dal Castello (il che con faciltà avrebbe
sortito), non essendo presidiato sudetto Capo di truppe, non che necessarie,
sufficienti, ne men con alcun posto guernito di soldati per impedirsi lo
sbarco. E così, battendosi la Cittadella del Castello con cannoni e bombe,
avrebbe successo molto danno, e nel borgo collaterale, perloché s’osservò uno
scompiglio universale, lasciando gli abitanti le proprie sue case, con aversi
retirato ogn’uno nella parte inferiore della città, sotto il Quartiero delli
Spagnuoli, o nelli quartieri più lontani per non soggiacere all’invasione degli
nemici. Il che infallibilmente si credeva magiormente che, publicatosi innanzi
la venuta di detta armata in Palermo, sudetto signor Missegla, comandante in
questa, dimostrandosi benevolo cogli cittadini per li accidenti potevano
succedere, consultò a tutti quei gentiluomini e nobili e cittadini, che
commoravano nella Cittadella ed in parte convicine, si retirassero in altra
parte lontana per evitarsi il danno ancor della vita, come pure aveva fatto
disabitare tutte le Reverende Monache del Ven.le Monastero del SS.mo Salvadore,
che esisteva in detta citta murata, con aversi queste retirate nell’Ospizio di
Santa Caterina de Padri Carmelitani Scalzi di Santa Teresa posto nel Borgo
della città, con far servire il Monastero per riposto di provecci di guerra.
Inoltre ritrovandosi in detta città principale il celebrato Duomo, fece da
quello togliere il Venerabile con tutti gli superlettili, servendosi del tempio
per riposto di frumenti, con aver di più in esso posto l’ospedale per l’infermi
soldati, onde il reverendo arciprete Don Diego Perrone deputò per Duomo
l’angusta chiesa di Santa Maria la Catena in detto Borgo. E di più ordinò esso
signor comandante Missegla che tutte le sue truppe si retirassero in detta
città principale unitamente cogli suoi officiali, e lui medemo fece l’istesso
lasciando l’antica sua abitazione, qual era vicina sudetta chiesa di Santa
Maria la Catena [il Palazzo del
Governatore, ndr], retirandosi in casa del signor Don Federico Lucifero,
capitan di Giustizia in detto tempo di questa città, sotto le falde del
Castello Reale, retiratosi prima questo nella casa del signor D. Francesco
Lucifero suo fratello nel quartiero di San Giacomo.
Un bando
(disatteso) del Missegla impone il ritorno in città ai proprietari di barche ed
il divieto di allontanarsi da essa Fu così veemente ed improviso nonché il
bisbiglio, il timore generale di tutti gli abitanti in questa di qualunque
condizione, lasciando le case in abbandono, che alcuni sotterrarono il meglior
mobile nelle sue proprie case lasciate senz’abitar in esse, e nelli Conventi di
San Domenico, di San Francesco d’Assisi, de’ Padri Cappuccini. Altri cittadini
e plebei colle loro famiglie, specialmente tutti gli marinari con alcune
barchette per l’instante pericolo si partirono quasi fuggitivi nelli scari e
lidi di Patti, Furnari, Sangiorgio, Brolo ed in altre parti convicine,
lasciando il tutto in abbandono. Ma per aversi trascorsi alcuni giorni,
osservato che la città era dell’intutto disabitata e non retrovarsi alcun
marinaro, né barca, né feluca, le quali dovevano in ogni modo servire di
trasporto nell’occorrenza, si publicò di ordine del detto signor Missegla,
comandante, rigoroso bando che fra il termine di giorni quindeci tutti quei
partiti con dette barche dovessero retornare sotto gravissime pene, e quei che
si retrovavano non dovessero partirsi da questa città, e con tutta la
proibizione, ed il rigore insinuato, non ebbe effetto il retorno di alcun
marinaro, né di barca.
Impegno
del Missegla per prevenire l’assedio Reflettendo il signor Missegla comandante
all’urgenze che l’apportava l’Armata Navale delli Spagnuoli, sempre stiede a
cavallo, e di notte, e di giorno, rivedendo tutti gli posti, e benché avesse
raddoppiate le guardie nelle porte e bastioni della città, fortificando pure il
Quartiero delli Spagnuoli, non dimeno la sua principale e primiera intenzione
sempre fu di fortificare e munire la Cittadella e Castello Reale, e le porte in
essi, e trattener per quanto poteva la parte bassa della città, e le porte in
esse, non puotendo far differentemente, per non aver truppe sufficienti per
defendere per intiero tutta la città con tanti posti e sentinelle. Sopra ciò
esso di Missegla si demestrò al sommo vigillante et indefesso e più delle volte
di notte tempo prendeva alcun riposo sopra il cavallo in mezzo le strade. E
benché apparesse allegro inanimando con volto hilare, così gli suoi officiali
subalterni, sul volto d’ogn’uno la mestizia interna per osservarsi l’imminente
pericolo di tutti, credendosi infallibile l’assalto dell’armata spagnuola a questa
città, almeno della parte del Capo, per esser dell’intutto privo d’alcuna
ancorché minima provisione così di truppe, come di ripari necessarij, essendo
libero il passo, con tutto che ci fossero alcune guardie, che sempre per il
passato esistevano di nessun rilievo.
Tra le
sette meraviglie del mondo: l’armata navale spagnola, piena di «legni
inalberati colle vele spiegate, che sembrava un bosco volante sopra l’onde» È vuopo far plausa [pausa, ndr] al racconto del seguito in
questa guerra per descrivere brevemente per quanto si puotè osservare la
sudetta armata navale di Spagna nel tempo che si fece a vedere in questa città
dal Capo d’Orlando sin che valicò a quello di Rajsicolmo. Primariamente restò
molto pago l’occhio alla veduta da lontano della sudetta armata nemica,
osservandosi in più parti radunate molte navi di guerra con altre di trasporto
ed altre imbarcazioni più picciole framezzate, ed alla sfilata con lo spazio
continuato d’altre navi, così di prima linea come di trasporto, e di più sette
galee indistintamente poste. E benché per la distanza non si poteva da
principio distinguere né il numero, né meno l’ordine, non di meno s’osservò
doppo che tutta detta armata, con tutto che apparesse confusa, caminava con
regola ordinata e militare, tenendo ogni squadra il suo posto, con procedere
nel primo l’Almirante, associata
dalli lati d’altre imbarcazioni così grandi, come picciole, tanto che appareva
nel mare uno spazio di molti miglia pieno di legni inalberati colle vele
spiegate, che sembrava un bosco volante sopra l’onde. E volendosi numerare pure
col cannocchiale sudetta armata, si rese impossibile per la molta e copiosa
quantità di legni, bensì s’ebbe poscia la veridica notizia che fu al numero di
quattrocentosessantaquattro tra navi di guerra e di trasporto ed altri navigli
di diverse qualità. La meglior vista però s’osservò nel Capo di questa città,
dalla parte di sopra vicino la Lanterna, per dover in ogni modo tutta sudetta
armata navale - così di navi, come tartane, galere ed altri - passar di sotto
sudetto Capo, retrovandosi il mare molto profondo ed allora facilmente si
puoteva numerare la quantità di tutta la sudetta armata coll’apparenza delle
persone, che sopra coverta di esse imbarcazioni si retrovavano: e racconta chi
ebbe fortunata curiosità d’osservarla, che restando molto appagato nella veduta
puotesse con distinzione raccontarlo, sembrandoli una meraviglia tra l’altre
sette principali nel mondo, memorabile e degna d’esser non che riguardata con
ogni stupore ammirata. Per certo che da più secoli trascorsi non s’ha visto
un’armata alla reale con tante imbarcazioni di guerra e di trasporto, oltre le
galee ed altre che in essa raccolte si retrovavano.
Fedeltà
dei giurati al Missegla con la richiesta di mettere per iscritto ogni ordine a futura memoria E benché avesse apportata colla vista alli cittadini
di questa dilettevole l’apparenza, non dimeno riflettendosi dalli medemi
doverli apportare grandissimo nocumento in grave loro danno, oltre lo spavento
della propria vita, col cuore palpitante si stava e col pensiero del sinistro
ed infausto successo che a momenti si attendeva mentre si credeva
infallibilmente che sudetta armata s’avesse trattenuto nel nostro Capo per far
il disbarco, attaccando la batteria alla città principale ed al Castello Reale,
tanto più che non si retrovavano di presidio nella Piazza che solo ottocento
soldati, anzi meno per esser di tal numero prefisso molti infermi ed alcuni
morti, e detto Capo dell’intutto spovisto. Li signori Giurati di questa
s’unirono tra loro, e fatta consulta con l’assistenza di molti principali
gentiluomini per demostrar la loro fedeltà e di tutti li cittadini verso il
loro Re Vittorio Amedeo dominante, si conferirono dal signor Missegla che
comandava, a loro nome e di tutto questo publico, richiedendo che si
compiacesse darli regola, come comandante, sopra il loro deportamento con detta
armata reale di Spagna per esser sempre pronti obedirlo come fedeli vassalli,
con questo però che volevano in scriptis
qualunque sua ordinazione per obedirlo alla cieca, affinché in ogni tempo
comparisse la loro fedeltà, e quello esercitassero fosse stato con l’ordine di
esso comandante.
Missegla,
contrariamente a quanto manifestato in precedenza, dichiara di essere pronto ad
immolarsi con le sue truppe, incendiando persino la città e il Castello pur di
non darla vinta al nemico E con tutto che il medemo signor di Missegla antecedentemente
s’avesse dichiarato che venendo l’armata sudetta avrebbe consignato ad essi
Giurati tutte le chiavi, per disporla cogli Spagnuoli, per aver tempo di
puoterli richiedere tutti gli loro privilegij ed ottener inoltre le loro
convenienze, volendo esso comandante defendere la Cittadella ed il Regio
Castello con le sue truppe, non puotendo altrimenti disponere per non aver
soldati sufficienti per il presidio necessario di tutta la città, non dimeno
allora - o per aver fatto reflessione che a ciò in nessun modo poteva esser
violentato dalli abitatori per aversi nella maggior parte scemati col retiro
nella Piana ed in altre parti; e per aver conosciuto che li cittadini in nessun
modo volevano gli Spagnuoli, colla insinuazione delli medemi ad esso fatta; o
per aver avuto campo di presidiare ad un mediocre modo così il Quartiero delli
Spagnuoli, come il Bastione di San Gennaro e quello di Sant’Elmo, e di soldati
e di provecci di guerra; o pure parendoli molto pregiudiziale che di sua
propria volontà applaudisse che gli Spagnuoli entrassero in città a
contemplazione delli cittadini, della quale con più faciltà avrebbero conquistato
la Cittadella principale ed il Regio Castello e che tutto questo si esprimesse
con la sua attestazione in scriptis;
o facilmente per altro motivo, nessuno delli quali dal medemo propolato, forse
per disposizione Divina, che permise per
la nostra colpa ed eccessi commessi in ogni modo si desolasse tutta la
città col territorio e il sudetto Capo - in nessun modo volse che li Giurati
pratticassero alcun accordio cogli Spagnuoli, con inviarsi persone qualificate,
o vero andar essi per tal effetto, ma dell’intutto variabile sgridò sudetti
Giurati, asserendo voler in ogni modo defendere tutta la città sin allo
spargimento di tutto il suo proprio sangue con tutte le sue truppe, anzi si
dichiarò che, non potendo infine discacciar il nemico, e conoscendo realmente
dover soccombere per mancanza di soldati, senz’alcun accordio, né patto non
voler rendere la città né il Castello, ma solo incendiarli, dando fuoco per
tutto ed incenersi esso con tutte le truppe, per non dar vittoria alcuna al
nemico, e che in avvenire si celebrasse il suo nome con un fatto esemplare
esercitato da più persone illustri.
L’armata
navale spagnola prosegue la navigazione verso il Faro di Messina. Cenni agli
avvenimenti bellici lungo le rive dello Stretto Perloché essi signori
giurati, per non farsi adombrare in modo alcuno e per non esser tassati con li
cittadini d’infedeltà, applausero col volere del comandante Missegla e nemeno
inviarono all’armata Spagnuola alcun messo da loro parte, né della città. Il
che per nessun modo fu lodato, poiché in simili contingenze son necessarie le
corrispondenze per l’eventi futuri. E così fuori d’ogni aspettazione la sudetta
armata prese il camino per il Capo di Rajsi Colmo, per trasferirsi nel Faro di
Messina. Il che seguì venerdì li 22 di luglio 1718, con aversi doppo transcorsi
alcuni giorni propolato che dalla città di Messina avessero uscito sopra tre
felughe alcune persone qualificate per chiamar detta armata navale a nome di
tutta la città, per esser tutti alla devozione delle arme di Spagna, tolti gli
bastioni, la Cittadella, ed il Castello del Salvadore, per esser tutti
presidiati colle milizie e truppe del Re Vittorio Amedeo. Con aversi da detti
inviati dato l’omaggio da parte del Senato di essa città e suoi cittadini al signor
marchese di Lede, vicerè di Filippo Quinto monarca di Spagna. E si disse pure
che la sera sudetta armata entrato il canale di Messina facendo alto nel faro
di essa, senz’aver entrato nel Porto.
Raccontandosi inoltre che le provisioni di
guerra e di viveri che erano sopra sudetta Armata navale fossero state
innumerabili, con quantità copiosa di denari, avendosi fatto il disbarco di
porzione di detti viveri e provisioni di guerra fuori la sudetta città, nella
ripa di detto Faro. E con tutto che il seguito fori di questa città e la presa
delli Spagnuoli della Cittadella cogli altri bastioni in Messina non fu mai mia
intenzione di descrivere, per aversi da più scrittori posto in stampa, che di
presenza l’osservarono, nondimeno veridicamente si disse che fu molta la
quantità di dette provisioni, avendosi fatto montagne nella ripa del mare di
soli sacchi di farine, altre di polveri e palle ed altre di biade per li
cavalli, e fra l’altre una di sole pietre focaie per li schioppi delli soldati.
Benchè s’avesse superata la Cittadella cogli altri bastioni in Messina dalli
Spagnuoli, come dissi, nondimeno persistette per molti giorni la difesa, ed in
questa città di Milazzo continuamente - e di notte, e di giorno - s’intendeva
il ribombo di più migliara di cannonate e di bombe per l’attaccamento fatto
alle dette fortezze d’ambe le parti sino alla resa delle medeme. E son per dire
senza hiperbole aver sormontato a più migliara di migliara. Non mi sembra
inconveniente il descrivere in questo loco (con tutto che sia fuori della mia
intenzione) tanto il numero delle truppe Spagnuole, così di cavalleria e
fanteria, quanto degli officiali che vennero nel regno sovra l’armata navale di
Spagna, sopra la relazione da più veridiche persone notate. E siccome realmente
osservai in stampa sopra gli progressi di detta armata in detta città di
Messina, colla comune sodisfazione di tutto quel popolo nella conquista della
Cittadella ed altri bastioni, che in vero fu molta sanguinosa con l’eccidio di
molti soldati.
L’armata spagnola elencata in
ordine gerarchico
1.
Primariamente sopra la sudetta armata di Spagna venne per viceré
l’eccellentissimo signor Don Francesco de Bette marchese di Lede, cavaliero
dell’insigno ordine del Teson [Toson,
ndr] d’oro, capitano generale nell’esercito del Re di Spagna, direttore
generale di tutte le sue infanterie spagnuole e straniere, comandante
generale del regno d’Aragona, viceré e
capitano generale per la Maestà di Filippo Quinto in questo Regno di Sicilia.
Tenenti Generali
2. Signor Don Luca Spinola
3. Signor Don Giuseppe Armandores [Armandarez, ndr]
4. Signor Conte di Glim
5. Signor Don Georgio Prospero de Verbon
6. Signor Cavalier de Lede
7.
Signore Marchese di San Vincenzo
8.
Signor Cavalier Don Giuseppe Caracciolo [Giovanni, ndr]
9. Signor Conte di Monte Mar
10. Signor Don Feliciano Bragamonte
Marescialli [di campo, ndr]
1. Signor Marchese di Villadurius [de Villadarias, ndr]
2.
Signor Don Antonio Pignatelli
3.
Signor Barone Duhart
4.
Signor Marchese de Bus
5.
Signor Don Domenico Lucchese
6.
Signor Cavalier Tolse Zueveghen [Zweveghem,
ndr]
7.
Signor Marchese de Reivene [Resvene, ndr]
8.
Signor Don Gerolamo Solis
9.
Signor Don Filippo Dupuis
10.
Signor Cavalier de Rojdevelle [Roydeville,
ndr]
Brigadieri di Cavalleria
1. Signor Cavalier de Aragosa [Aragona, ndr]
2.
Signor Busselli [dei Dragoni, ndr]
3.
Signor Suotofor [Sciotofort dei Dragoni,
ndr]
4.
Signor Buliego [Baliego dei Dragoni,
ndr]
Brigadieri di Infanteria
1. Signor Don Pietro del Campo [Castro, ndr] Maggiore di battaglia
2.
Signor Don Francesco Varis
3.
Signor Don Alessandro Carbon
4.
Signor Cavalier de Lalain
5.
Signor Don Carlo Arizaga
6.
Signor Don Francesco Ebboli
7.
Signor Don Emanuel Navarra
8. Signor Don Aloise Apunte
9. Signor Don Bernardo Salazar [Eusebio Salazar, ndr]
10. Signor Don Giovanni Portes [Loyse Portes, ndr]
11. Signor Don Giovanni de Gage
12. Signor Marchese de Moja
13. Signor Don Raimondo Mendoval [Makdonel, ndr]
14. Signor Don Francesco de Languens [Langueux,
ndr]
Otto Regimenti di Cavalleria di
tre squadroni per ognuno
1. De Bourbon
2. De Milano
3. De Brabant
4. De Frandes
5. De Acris [Atris, ndr] Farnese
6. De Armendaus [Armendaris - Andalusia nuova
denominazione, ndr]
7. De Salamanca [Barcellona la nuova denominazione, ma forse tale nuova denominazione si
riferisce all’Acquaviva, ndr]
8. De Acquaviva
Sommano sudetti otto Regimenti [ciascuno dei quali composto di 12 compagnie,
ndr], a 30 uomini per compagnia, numero 2880
Sei Regimenti di Dragoni
Di Bruselles [Batavia nuova denominazione, ndr]
Di Castelfort [Frise nuova denominazione, ndr]
Di Grimare [Grimau
– Tarragona nuova denominazione, ndr]
Di Mabioni [Mahonì
– Edimburgo nuova denominazione, ndr]
Di Ossone [Nummanee
nuova denominazione, ndr]
Di Pezzuela [Lusitania nuova denominazione, ndr]
Ogni Regimento di 12
compagnie di 50 uomini, n. 3600
La compagnia del Gran Prevosto di campagna, n.
50
[La cavalleria in tutto, ndr] n. 6530
Trenta cinque Battaglioni
d’Infanteria
[4, ndr] Battaglioni di guardia Spagnuola di 6
compagnie per ogn’una
[4, ndr] Battaglioni di guardia di Vallon
costano di cento uomini per ogni compagnia,
tutti li Battaglioni [di cui sopra,
ndr], n. 4800
[2, ndr] Battaglioni di Castiglia, n. 1300
[2, ndr] di Guadalaxara, n. 1300
[2, ndr] di Savoja, n. 1300
[2, ndr] di Cordova, n. 1300
[2, ndr] di Burgos, n. 1300
[1, ndr] di Villadolid, n.
1300 [650, ndr]
[2, ndr] di Cantabria, n.
1300
[2, ndr] di Asturias, n. 1300
[1, ndr] di Madrid, n. 650
[2 di Navarra, n. 1.300, ndr]
[1, ndr] di Aragon, n. 650
[1 di Napoli (Italiani), n. 650, ndr]
[1, ndr] di Milano
(Italiani), n. 650
[1, ndr] di Irlanda
(Irlandesi), n. 650
[1, ndr] di Ibernia [(Irlandesi), ndr], n. 650
[1 di Ultonia (Irlandesi), n. 650, ndr]
[1, ndr] di Colonia [Borgogna, ndr], n. 650
[1, ndr] di Utrach [Utrecht, ndr] (Valloni), n. 650
[1, ndr] di Tategliana [Artiglieria, ndr], n. 1000 [700, ndr]
In tutto Infanteria, n. 22400
Cavalleria, n. 6530
Ammontano in tutto, n. 28930
Il consultore Guglielmo Colonna imprigionato a
Messina. Tenacia e fedeltà della moglie, “giovinetta leggiadra” Si trovava nel medemo tempo
in questa città il dottor in legge signor Don Guglielmo Colonna, principale
cavaliero di essa, qual esercitava da più innanzi la carica di Consultore delli
comandanti che recidevano. Perloché proseguiva tal officio col signor Missegla
che dominava, e col detto signor di Colonna passa molta confidenza, non solo
sopra le cause concernenti alla sua carica, pure in negozij familiari, onde
sperimentandosi che nelle corti quei che amministravano giustizia, essendo
parziali e stretti confidenti con chi domina, allo spesso sono riguardati in
qualunque loro azzione (ancor minima ed indifferentemente) con osservarsi con
occhio di lince il loro operato, tanto che al Colonna non solo gli suoi pari,
pure generalmente ogni uno riguardava con alcuna sospezzione, temendo che
questi li fosse nocevole, tanto più che facilmente domina tra persone d’eguale
condizione l’invidia, con tutto che il personaggio fosse stato sempre
esemplarissimo in ogni sua azzione.
E così
ritrovandosi allora il signor Missegla comandante molto giolivo e allegro, così
per non aver da principio l’armata navale di Spagna assaltata questa città (il
che sempre stimò certissimo), per lo che ebbe tempo di presidiar la città
principale ed il Castello Reale con li borghi e parte inferiore con ogni sua
soddisfazione, come pure per aversi inteso essere stata l’armata navale di
Spagna dell’intutto disfatta da quella dell’Inglesi sopra il Capo Passaro
vicino Siragosa, e similmente per le notizie avute che fra breve avrebbero
venuto molte truppe cesaree inviate dall’Augustissimo Imperadore a benefizio
del suo Re in questo regno, determinò inviar persona seria al signor comandante
nella città di Reggio in Calabria per restar meglio informato sopra tal
particolare ed inoltre per aver distinta relazione dell’Assedio che teneva la
cittadella in Messina dalli Spagnuoli, giachè a quel tempo non avea seguito la resa
allo spagniolo con l’altri castelli. Il che inteso il sudetto signor di Colonna,
consultore, s’offerì volentieri di far sudetto passaggio, tanto per il real
sevizio, come per demostrarsi grato al signor Missegla comandante, quale per
non dar tal disaggio al suo confidente pretese da principio escluderlo, ma alla
fine importunato ed alle reiterate instanze del Colonna acconsentì che questi
facesse tal viaggio, con averli consegnato lettere di credenza per quel
comandante in Reggio. Ed infatti il medemo di Colonna a’ 19 agosto del 1718,
venerdì, ad ore tre di notte partì con Francesco Coppola suo servo sopra una
barca del Padron [segue lacuna nella
copia, ndr] con alcuni marinari di questa, e nella mattina seguente
all’alba restò prigioniero esso di Colonna con tutti li marinari ed il servo di
Coppola, seguita la preda da due [segue
parola di ardua trascrizione, ndr] nemiche che nell’entrar nel faro di
Messina, con esser condotto al signor marchese di Lede viceré spagnuolo, e
doppo trattenuto da prigioniero nel Castello nomato di Castellazzo e
sussequentemente asportato in quello di Matagriffone, ove commorò pria con
molto rigore, bensì doppo con qualche civiltà sin al mese di marzo del 1719
(che a suo tempo di si descriverà la scarcerazione).
Intesa dal signor
Missegla comandante la prigionia del detto signor di Colonna, ottenne
passaporto dal signor di Lucchese maresciallo, qual comandava nella Piana per
le truppe spagnuole, per inviarsi al Colonna alcuni superlettili e denari per
suo trattenimento, ottenuto pure dal sudetto comandante di potersi trasferire
in Messina la signora Donna Teresa e Don Giovanni Colonna, madre e fratello del
prigioniero, e con tutto che s’avessero questi trattenuto in detta città l’uno per
giorni sette e l’altra per un mese, mai puoterono aver l’ingresso nel Castello
per vedere il loro fratello e figlio. In quanto al Coppola servo e marinari,
pure presi col Colonna, si destinò che lavorassero alli fortini delli Spagnuoli
in detta città di Messina, fatti per battere la cittadella ed altri forti.
La signora Donna
Domenica Colonna e Calcagno, moglie del Colonna prigioniero, intesa la sua
carcerazione e che detti suoi congionti, con tutto che avesser dimorato in
Messina, non ebbero fortuna nemmeno di vedere e parlare al detto signor Don Gugliermo
- doppo aver partorito, con l’onore di averli tenuto il parto al fonte
battezzale il signor cavaliero Falleti di Baroli [Falletti di Barolo, ndr], maggiore del Regimento di Salluzio per il
Re Vittorio Amedeo, in tempo che il marito si retrovava in questa - per esser
donna di molta circospezione ed affezionata al consorte, s’adoprò molto ad
ottenere dal detto signor di Lucchese il passaporto per condursi in Messina a
veder il sudetto signor suo marito, perloché fatta imbarcare sopra una feluga
quantità di superlettili colla guida del sacerdote Don Tomaso Terranova,
coggino del marito, ed essa partita per terra, accompagnata dal signor Don
Antonino Calcagno suo fratello, si condusse in Messina, ove fra puochi giorni
che commorò conseguì la licenza di veder il consorte più volte, e doppo retornò
in questa cogli altri, conforme la partenza. Anzi per togliersi il corteggio de
molti cavaglieri e del compadre, che in sua casa da principio si frequentava,
volse dell’intutto sequestrarsi, retirandosi in quella di Donna Gaetana
Calcagno sua madre, nel quartiero di San Giacomo, lasciando quella della
suocera e congionti del marito nel quartiero di Santa Maria la Catena, ove pria
commorava. Per certo che nonostanti le
gravi cure delli cittadini nel fervore delli loro afflizioni, s’ammirò la
prudenza, virtù e bontà di detta signora, con tutto che fosse dama giovanetta e
leggiadra.
La battaglia navale di Capo Passero: Castagnoli
torna in libertà
Seguì pure nel medemo tempo e nel mese di ottobre, innanzi che s’avessero reso a patti la cittadella di Messina con
tutti gli altri castelli, la venuta dell’armata navale d’Inghilterra,
consistente in vendidue navi di battaglia con altre picciole, a contemplazione
della Cesarea e Catolica Maestà dell’Augustissimo Imperadore Carlo Sesto, e da
questa disfattasi l’armata spagnuola, con tutto che avesse stato questa più
copiosa di legni, sopra il Capo Passaro verso Siragosa, colla presa di molte
navi ed abbrugiamento di molt’altre, disperdendosi il restante da fuggitivo in
più lochi che d’altri scrittori viene distintamente descritto. Perloché vennero
da Reggio due navi inglesi in questo porto, conducendo al detto signor cavalier
Castagnoli, poiché ritrovandosi questo da più tempo prigioniero sopra l’Almirante nave di Spagna (come dissi) e
questa presa tra l’altre dall’Inglesi, e condotta in Reggio con l’altre navi,
conseguì la libertà il cavaliero. Onde seguì nella città un applauso generale
per li meriti di tal soggetto. E si verificò doppo la rotta dell’armata reale
di Spagna, e che le galere che si retrovavano nel conflitto per ottener lo
scampo avessero corso fuggitive sin all’isola di Malta, e che il sudetto
Augustissimo Imperadore avesse inviato l’armata navale inglese per defenzione
di questo Regno e quello di Napoli, per non succederli alcun sinistro incontro
dall’arme spagnuole. Infine, riconosciutosi dagli officiali che sopra dette due
navi esistevano il sito di tutta questa città e che viveva a devozione del suo
Re Vittorio Amedeo, quando peraltro si credeva che avesse caduto o per forza, o
per genio, a favore di Spagna, si publicò generalmente che fra breve avrebbero
venuto le truppe tudesche da Napoli in questa città. E disbarcatosi detto
signor Castagnoli, di subbito le due navi sudette retornarono in Reggio.
La controversia tra il capitano Beltran ed il
reverendo Pisani
Non avendo il menzionato Don Corrado Beltran, capitano della città di Puzzo di
Gotto, restituito al sacerdote don Giovanni Pisano, cappellano nel casale di
Santa Marina, le onze diece richiesteli per la spesa di magnare quei villani
che con esso conduceva, allorché acclamò per Re di questo Regno la maestà di
Filippo Quinto, tanto in detta città di Puzzo di Gotto come per tutta Piana
(come si disse), per ritrovarsi il Pisano il maggiore in detto casale,
ordinando e disponendo il tutto a sua libera volontà e stando di continuo a’
fianchi del maresciallo Lucchese, che dominava in essa Piana, anzi mettendo
guardie a sua disposizione in detto casale ed altre parti con gridar
pubblicamente viva il Re di Spagna e di
Sicilia. Fattosi perciò benevolo al detto signor comandante ed
instradandolo per quanto necessitava per suo trattenimento e delle sue truppe.
Il che esercitava con ogni simulazione, poiché sempre fu indefesso a favore del
Re Vittorio Amedeo e di questa sua città, e realmente non poteva
differentemente adoprare (come s’esplicherà); onde sacerdote di Pisano andò
nella città di Messina ed avuta l’audienza dal signor marchese di Lede, viceré
per la Spagna, molto si querelò contro il sudetto di Beltran, tanto che ottenne
l’ordine contro esso che li dovesse restituire le onze diece dal Pisano
ricevute. Onde fu costretto di subito, non giovandoli le sue millanterie,
sborzar al Pisano la riferita somma, anzi fu rimosso dal suo governo di
capitano che teneva con molto discredito del suo proprio onore, e così
precipitò dall’auge nella quale si credeva cogli auspicij di Spagna persistere,
del che si riconosce che volendo alcuno sormontar ad altezza immaginaria senza
l’aiuti sussistenti, per non dir altro, facilmente cade nel baratro non
aspettato, anzi si disse che il Pisano inferì al viceré di Spagna che il denaro
toltoli dal Beltran non servì per lo spesare a’ quei villani, ma con violenza
gli fu preso.
Missegla dispone la chiusura di Porta Palermo Essendovi a 31
luglio 1718 in questa Piana da millecinquecento cavalli spagnuoli, sotto il
comando del detto maresciallo Lucchese, s’attese con molta attenzione e
vigilanza del signor Missegla comandante a presidiare per quanto poteva la
principale porta di Messina, con terrapieni da dietro e palestrate da fori,
colle sue trinciere, serrata dell’intutto l’altra porta di Palermo, di suo
ordine a contemplazion d’alcun emolo contro la propria patria o per altro suo
motivo che mai volse propolare, quando peraltro pria le sue azzioni in publico
attestava di qualunque maniera recò molto pregiudizio al publico.
Bando del Missegla sulle armi, esenzioni e critiche Inoltre fece
promulgar publico bando che nessuna persona così cittadina, come forestiera,
puotesse portare qualunque sorte di arme di ferro né di giorno, né di notte,
così nella città come fuori di essa, e nemmeno spada o daga o cortello, sotto
gravissime pene in esso bando espressate, specialmente nello sborzo di grave
somma di denaro e carcerazioni. Solo si concesse a’ soli cavalieri e
gentiluomini di portar la sola spada, e ciò col pretesto d’esser di molto
servizio al Re. L’insunazione di promulgarsi tal ordine processe a
contemplazione de’ malcontenti e nemici di questa città.
Con qual
sentimento e dispiacere s’avesse inteso tal accidente impensato dalli cittadini
di questa, si tralascia al savio giudizio di chi vedendolo farà la
considerazione che si deve, poiché si costumava da più tempo in città che
qualunque nonché cittadino, pure maestro ed arteggiano ed altri consimili, e
notari e persone di penna, di continuo portassero la spada al fianco,
servendoli per ornamento della propria persona, e solamente li marinari con li
pescatori e vili plebe erano esclusi a portar la spada, perché o vendevano
pesci o portavano some col pagamento. Si può bensì considerare con attenzione
il susurro dell’esclusi ed il peggio fu che molti di quei puochi che - o per
propria ostentazione o che realmente non dovevano entrar nell’esclusiva -
defendevano indiscretamente che tal proibizione dell’arme fosse stata ben
disposta dal comandante, non reflettendo che l’arme maneggiate da’ popoli in
qualunque stato, o libero o suddito, o aristartico o democratico, allorché
sempre s’attende al servizio del dominante, o [segue parola di ardua trascrizione, ndr] con ogni fedeltà dovuta,
essere stato di molto profitto nonché alli medemi popoli, pure al padrone, né
milita l’asserzione che altrimenti non si distinguevano gli nobili dalli
cittadini, poiché non essendovi in un publico la concordia necessaria pure tra
gli inequali di condizione facilmente si conculcano gli spiriti generosi degli
abitatori di esser molto pregiudiziale pure agli primati nel popolo, non avendo
concesso nelle loro giuste azzioni e nelle fazzioni che intraprenderanno a
favore del padrone e di loro medemi. Puossi solamente affermare che molti
cittadini, osservato il contento di quei che non erano compresi nella
proibizione dell’arme e che pure lo palesavano, per aversi cognizione
dell’esclusi attesero a scrutinar la progenia antica di molti che si
millantavano per nobili, proceder da bassa schiatta pure da padri a’ figli,
nonché di avi, e per aver solamente asceso ad alcuno officio, o per favore o
per denari, volersi gloriare esser nobili. Oltre che tutti gli arteggiani, che
sempre s’anno pregiato portar abiti consimili agli nobili, si rimbroccavano
pubblicamente quelli medemi, che realmente non erano del casato di nobili,
benché per tali si millantavano. Al certo avrebbe seguito alcun disordine, se
non avessero corsi li tempi così calamitosi. Ma non si poteva infine tolerare
che sudetta proibizione non avrebbe [avuto,
ndr] processo né [sarebbe stata, ndr]
promulgata dal comandante, per aver sempre questi praticato con gli cittadini
più de’ nobili, con ogni amorevolezza per aver conosciuto la loro fedeltà in
servizio del Re, se non fosse stata promessa a contemplazione di cervelli
inquieti per volersi fare a conoscere discesi della schetta di Anchisa, colo
solo appartamento d’un pezzo di ferrone al fianco irruginito e di vile prezzo.
Ma li veri nobili, conoscendo che non li receva alcun pregiudizio se gli
cittadini portavan arme, per esserli ciò più delle volte molto profittevole per
defensioni di essi nobili col seguito dell’altri nell’occorrenze, nemmeno
applausero a tale proibizione dell’arme, maggiormente che si ritrovando vicino
il campo spagnuolo nemico, ed ogni uno per necessità pure della propria vita
doveva invigialr per la defenzione, oltre per il bene publico.
Trasferte dei Milazzesi negli appezzamenti della
Piana e loro rapporti col nemico spagnolo Trascorso il termine prefisso nel
bando d’ore 24, anzi nell’instante che quello si publicò, si viddero tutti gli
cittadini cogli altri esclusi andar per le strade con una canna in mano, che
rassembravano lo scherzo di una volubile fortuna, e se seguì alcun riso tra
loro fu molto sardonico, per aver l’animo molto inquieto contro gli autori. Con
tutta la proibizione dell’arme di sopra espressata, con tutto che a molte
persone escluse per grazia del signor comandante Missegla, ottenuta licenza in scriptis, s’avesse concesso la
facoltà di portar la spada (come prima), non volendo gli veri cittadini onorati
richiedere tal licenza, stimandola assai pregiudiziale, non perciò era concesso
a tutti cittadini di qualunque condizione di poter passar liberamente nella
Piana per osservar le loro possessioni, tanto più che si maturavano l’uve e si
dovevano in breve raccogliere gli vini mustali, servendo questi per la vendita
d’ogn’anno, principale manutenimento di essi, costando il capitale in detti
vini mustali con alcune rendite di fronde di celsi per constituirsi le sete
ogn’anno, per lo ogn’uno liberamente andava e retornava senz’ostacolo alcuno,
con osservare al suo volere così il campo spagnuolo, con tutte le truppe colle
guardie in molti lochi deputati poste. E parlando molti - per non dir tutti - che
uscivano in detta Piana, pure di qualità e principali, col medemo signor di
Lucchese familiarmente, esplicando ogn’uno la sua inclinazione, come li dettava
il proprio suo genio, e sopra ciò non attendeva a nulla dal detto signor
comandante, bensì tra essi cittadini si conosceva il genio di chi discorreva cogli
spagnuoli, se seguiva o per accidente o per inchinazione o per penetrare
l’intenzione d’altri, o infine per osservar attentamente l’azzioni del nemico,
ed altri per mera curiorità riguardando il grande apparato di cavalleria, la
diversità di tanti soldati, la disposizione di dette truppe tutte con allegria,
giovani e snelli, non recando questa familiarità alcun pregiudizio per chi la
ricercava a detti spagnuoli nemici, né al signor Missegla comandante in città.
Aggravi burocratici ostacolano la macinazione dei
grani e la panificazione Dovendosi tutti li frumenti che si consumavano in
questa città per il vitto quotidiano macinare necessariamente nelli molini [ad acqua, ndr] che esistevano in detta
Piana ed in tempo d’estade non essendo questi sufficienti in altri nelli
territorij della città di Santa Lucia e terre convicine, poiché con tutto che
in questa città sempre s’avessero retrovato gli centimoli, nondimeno non si
pratticava che detti formenti si macinassero con redursi in farina con
centimoli ma con acqua.
Il che volendosi
adoprare con li medemi nell’urgenza che concorrevano, non era permesso alli
cittadini, restando detti centimoli ben guardati ed accomodati, d’ordine del
comandante, nella città per servizio delle truppe militari, oltre che non erano
sufficienti per molirsi li frumenti necessarij per tutta la città. Onde non fu
permesso dal signor maresciallo Lucchese, che dominava in detta Piana e per
tutta la comarca, che si puotesser più macinare detti frumenti. E benché da
principio per mera convenienza ciò avesse tolerato, con questo però che si
doveva ottenere la licenza in scriptis
dal riferito sacerdote Don Giovanni Pisano, cappellano nel casale di Santa
Marina, ricevendo lui il dritto della gabella che si doveva sodisfar alla
città, per sodisfarsi la Regia Corte ed altri dazij regij, e per il ben publico,
a ragione di tarì diece per ogni salma. E così non si pagava più detta gabella
agli affittatori per questa città. Quello doppo esatto dal Pisano per detta
gabella di macina, in che l’abbia esso erogato, allora non si penetrò e nemmeno
si richiese, solamente richiedendosi il permesso, per non restar affamati tutti
gli abitanti di questa. È vero bensì che
molti parenti ed amici del Pisano, conferendosi in detto casale ed ottenuta la
licenza, si facevano esenti dal pagamento di detta gabella; e si vedde la forma
di detta licenza esser di questo tenore: tumina
n. XX. A di XX 1718 lascierete macinare a XX di formento per servizio delle
genti di questo casale, vassalli del Re nostro Signore Filippo Quinto, e Dio vi
guardi , detto XX. In Santa Marina, io Don Giovanni Pisano cappellano.
Anzi il sudetto
signor di Lucchese, doppo alcuni giorni, ordinò che tutti quei formenti che si
dovevano macinare per servizio delli cittadini di questa fossero condotti nel
sudetto casale di Santa Marina, ove, doppo darsi prima l’ordine del Pesano con
detta licenza in scriptis per
macinarsi, si dovessero panizzare e non più in questa città (come prima), ma
nel detto casale, da dove finalmente trasportarsi il pane per ogni giorno, del
ché seguiva di continuo un disturbo non mai pratticato, dovendosi primariamente
inviar detti formenti con più bestie giornalmente in detto casale, da dove,
ottenuta la licenza dalle persone deputate, condursi per macinarsi e, fatto il
pane, di nuovo retornare in città, perloché se si trascurava minimo instante di
tempo per effettuarsi tutto ciò mancava il pane. E con tutta la diligenza possibile
si conduceva il pane verso la sera ed alle volte nemmeno si puoteva dispensare,
oltre lo grave dispendio che necessitava per lo trasporto di detti frumenti,
sin che si reduceva in pane, scemandosi di più il capitale della città, non
sodisfacendosi la gabella applicata per la macina e finalmente di tarì tre per
salma per la Deputazione e tarì quattro nomata di regalia. E con tutto questo
risparmio si mangiava sudetto pane
di prezzo alterato, entrandovi tante spese. Di più tanto per il timore che
dell’intutto non si dispensasse in avvenire sudetto pane, come pure per aversi
osservato che più volte non correva tal ordine o per mancanza delli molini e
forni, come per la mala disposizione delli deputati, e per altri accidenti che
alla giornata occorrevano, gli principali in città si provedevano per più
giorni di pane, nonostante che pure tenessero le farine reservate in casa,
restando dell’intutto sprovisti gli poveri, specialmente le femine, senz’aver
un pezzo di pane, per onde era intolerabile la penuria e con difficoltà si
poteva soffrire, ed era necessario che la povera plebe così uomini con donne si
partisse ogni giorno su l’alba dalla città a trattenersi da miglio uno fori
della città nelli lochi deputati, ove dovevano passar le some di detto pane,
quali pure erano scortate dalle truppe spagnuole, affiché ne puotesse aver uno.
E più volte seguì che non inviato il formento da questa in detto casale nel
giorno antecedente per macinarsi, o per mancanza di bestie, o per trascuraggine
da chi doveva invigilare al benefizio del ben publico, avesse detta plebe
restato assieme con tutti gli cittadini generalmente per quel giorno senza
pane.
Correndo questa
scarsezza tanto che le persone plebee con quei che non avevano commodità d’inviar
ben per tempo a consegnare il pane inviato da detto casale, che da principio
sempre si dispensò a porte serrate, molti restavano digiuni ed erano astretti
comprar pane di monizione dalli soldati a prezzo esorbitante, se pur l’avevano,
con tutto che fosse stato di malissima qualità e tutto caniglia, e pure
s’appagavano in generale nella toleranza e miseria così atroci, pregando Dio
che almeno fossero preservati nella vita e nell’onore.
Lucchesi proibisce la somministrazione di pane al
centro cittadino. Conseguente carestia Il sudetto signor di Lucchese,
maresciallo - a contemplazione dell’emoli contro questa povera città, ancorché
fossero nati in essa e cittadini, che si retrovavano in detta Piana, come
publicamente si disse, associando e corteggiando detto comandante essendo tutta
la comarca nemica d’essa città, o pure per sua propria volontà, o per regole
militari - d’ordine del signor Vicerè marchese di Lede, che si retrovava in
Messina, senza alcuna aspettazione ed impensatamente, proibì che li frumenti
che si macinavano nella Piana e territorio convicino per servizio di questo
publico non si molissero e che non si somministrasse più pane alla città, anzi
fece demolire dell’intutto gli molini che si retrovavano in detta Piana, quali
erano delli conventi di San Francesco di Paola e del Carmine, ed altri parti [segue parola di ardua trascrizione,
ndr], facendo sloggiare li molinari, anzi che nemmeno si macinassero frumenti
nelli molini di tutta la comarca, qual era alla sua devozione, affermando sotto
vano pretesto, soggerito dalli malcontenti che in esso in detta Piana
commoravano, che il pane distribuito giornalmente in questa città non servia
solo per li cittadini di essa, ma pure per le truppe sue nemiche che di
presidio nella medema esistevano. Sicché s’intese generalmente da tutti sudetta
proibizione per apportare molta carestia, maggiormente che in città non si retrovavano
comestibili di nessuna specie e con tutto che le persone facoltose avessero
fatto provisione di farine alcuni per mesi ed altri per giorni, prevedendo la
scarsezza che avrebbe seguito infallibilmente. Nondimeno a queste l’istessa proibizione
apportava molta afflizione e si può considerare di quanto nocumento fosse stato
a tutti gli poveri, non avendo alcun modo per sostentarsi, per certo che in
simili necessità di fame nemeno si puossono descrivere, nonché credere, se non
s’osservano di presenza.
Fornitura biscotto militare avariato alla
popolazione da parte del Missegla per alleviare la carestia Considerata dal
signor Missegla comandante la carestia d’ogni commestibile, specialmente del
pane, che soffria tutto il publico, senz’alcuna speranza di conseguirlo, fece
dispensare per le piazze molti cantara di biscotto di mala qualità per la
povera plebe, vendendosi di baratto per esser realmente di nessun servizio per
le sue truppe, essendo molto vecchio, tarlato, fetido e di malissima qualità,
che in altro tempo s’avrebbe gettato in mare o consumato col fuoco, per il che
si può reflettere di che qualità fosse stato e pure in breve tempo si consumò. Almeno
si rifocillava la povera plebe in alcun modo per non perire di inedia e di
fame, non avendosi riguardo che era più di nocumento che di sollievo alla loro
salute.
Inoltre diede
libera facoltà a tutti li cittadini che si puotessero senvir delli centimoli
che si retrovavano ben custoditi nella cittadella, poiché per tutti li suoi
soldati era di più tempo provisto di copiosa quantità di farine, oltre gli
biscotti freschi e più centinara salme di frumenti sufficienti per più e più
mesi. Anzi borbottò contro gli officiali presenti, poiché diverse e più volte
li richiese che facessero provisione d’ogni vivere, specialmente di farine,
almeno per mesi sei, che se ciò s’avesse esseguito non s’avrebbe patito tal
accidente per la loro poca attenzione.
Si richiede, senza successo, la revoca del divieto
di spedire pane al centro cittadino Inoltre non avendosi tolta la
comunicazione delli cittadini in puoter passar nella Piana, per non essere
stato proibito né dal signor Missegla, comandante in questa, nemeno dal signor
di Lucchese, maresciallo nella Piana, anzi con libera facoltà di poter parlare
col sudetto signor di Lucchese, come esercitavano molti per li loro respetti,
ed essendovi l’estrema urgenza del provedimento di pane molti de’ principali
supplicarono di presenza al detto signor di Lucchese che togliesse
l’impedimento di non venir più pane in città, anzi da parte delli spettabili
giurati di questa città, col permesso del sudetto signor di Missegla,
comandante, si fece a sentire al detto signor di Lucchese che si compiacesse
far somministrare per gli abitanti in questa il pane necessario per il loro
vitto. Al che fu replicato retrovarsi espresso ordine del signor marchese di
Lede Viceré (che si retrovava in quel tempo nella città di Messina) che in
nessun modo si dispensasse più pane alla città, retrovandosi essa imbroccata,
ed esser contro ogni regola militare.
Si riesce ad inoltrare da S. Marina qualche
quantitativo di pane verso il centro cittadino aggirando i controlli E con tutto ciò
molti cittadini, colla comodità che se li dava d’altri paesani, amici o
congiunti, che residevano nella Piana, e colla loro industria spesse volte,
così di giorno come di notte, portavano in città grande quantità di pane del
casale di Santa Marina, ove si fabricava così per le truppe spagnuole come per
gli abitanti in esso nella Piana, ingannando le guardie tutte le volte che
quelli erano incontrati e scoperti, coll’osservazione che il pane che seco
portavano li servia per le loro abitazioni detto mentre dimoravano nella Piana
sudetta. Ed alle volte seguì che incontrando con soldati indiscreti e senza
civiltà e loro ufficiali consimili, che tenevano li posti, gli era dalli medemi
tolto il pane, con farli retornare indietro, ed era impossibile che conducendosi
detto pane dagli cittadini in città non fosse stato osservato dalle guardie
spagnuole, mentre dell’una e l’altra marina sino alle ripe del mare
persistevano le sentinelle.
Il Lucchese muta atteggiamento nei confronti della
popolazione
Residendo bensì esso signor di Lucchese, maresciallo, nel fegho di Belvedere
nel territorio della città di Santa Lucia, contiguo con quello di questa
sudetta città, ove tenea la sua corte, il quale da principio si demostrò molto
umano cogli paesani, ma doppo, entrato in sospezione per l’azzioni delle medemi,
per l’emulazzione che osservò retrovarsi tra loro e con altri della comarca,
nemici scoperti delli cittadini di questa, restò con più alterigia e non
praticava colla familiarità d’innanzi osservata.
Milazzesi doppiogiochisti: filo-piemontesi e
filo-spagnoli
Dal principio che incominciò l’imbrocco delli Spagnuoli a questa città, molte
persone, così de’ principali come de’ cittadini e plebei colle loro famiglie,
col pretesto di osservare li loro poderi e possessioni, giaché s’avvicinava la
raccolta delli vini, si trasferirono nella Piana. Gli principali col permesso
del signor Missegla, comandante; gli altri di sua propria volontà, asserendo
che restavano con molta afflizione, retrovandosi in città per li patimenti
sofferti per causa delli nemici spagnuoli, alli quali publicamente mormoravano.
E per il contrario, dimorando nella Piana, l’acclamavano come veri signori e
padroni di tutto il regno, demostrandosi loro specialissimi affezzionati. Il
che seguiva o per le loro proprie convenienze o per genio che avevano cogli
Spagnuoli, o per il timore di non disperdersi le loro possessioni, o per
simulazione così in città come nella Piana, o meglio per aver tempo di smaldire
le loro passioni col denigrire l’azzioni delli loro cittadini e farsi benevoli
allo spagnuolo, bensì alcuni de’ principali, ma pochi, si demostravano neutrali
non degenerando dalla sua prosapia. Pure in presenza di alcuni della comarca,
nemici capitali tutti di questa città, tanto che conosciuta dal comandante
Lucchese la malizia delli sudetti di detta comarca, che sparlavano contro
questa città, li guardava come meritavano. È necessario non solo per
raccontarsi il vero, che più delle volte reca pregiudizio, specialmente nelle
massime così militari come politici, nelle quali qualunque ombra d’infedeltà
con tutto che apparesse e fosse fuori dell’intenzione del personaggio, dal
quale si stima fatta come per propalarsi subrevemente il seguito delle gravi afflizioni patite in questa città per così
lungo tempo d’anno uno e più mesi, che intrapresa da me la fatica per
compiacenza di chi puote ordinarla, per non dir per mio proprio genio, si
dilettasse il discorso delle reflessioni non che immaginarie, sode sopra il
seguito della guerra successo e praticato.
Che avesse il Re
Filippo Quinto di Spagna inviata l’Armata navale in questo Regno di Sicilia per
racquistarlo alla sua devozione e dominio. Che s’avesse fra breve spazio di
tempo, anzi di giorni, daché prese il primo terreno in esso impossessato non
solo della città di Palermo, senz’ostacolo alcuno, ma tutte quanto di tutto sudetto regno, fori di puochi luoghi e città. Che
s’avessero deportato l’arme vittoriose del medemo con ogni tranquillità, per
dove passavano. E finalmente s’avesse della sudetta imbroccata questa città di
Milazzo al dominio del riferito signor di Lucchese, maresciallo in questa
Piana, senza ostenzione delli
abitanti, per tutta questa comarca e specialmente di questa città in tempo che
si retrovava presidiata con ogni attenzione
dell’arme del Re Vittorio Amadeo dominante e suoi officiali colle truppe
deputate. Il tutto è veridico. Inoltre che dal signor Missegla, comandante,
s’avesse con la più esatta diligenza e cura atteso alla fortificazione di tutta
sudetta città in tempo che era presidiata con ottocento soldati solamente, anzi
meno, e che comparsa tutta sudetta armata navale nemica aver proposto il signor
comandante fortificar solo la città principale e superiore
GabrielBodenehr(1664-1758),Europae ornamentum et firmamentum ducentis aerescripturis exhibitum, c. 1710
Appendice al Capitolo II
(trascrizione a cura di
Massimo Tricamo)
Si ringrazia per la gentile concessione l'Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela
§ 1
Il comandante
Missegla ordina agli amministratori (giurati) dei comuni della comarca, vasto
territorio dipendente militarmente dall’autorità dello stesso comandante, di
radunare le rispettive milizie a Milazzo in vista dell’attacco del nemico
spagnolo
Spett. magnif. et nob. iuratis civitatum et terrarum
comarcae urbis semper fidelissimae lealisque Mylarum nostrae iurisdictionis
salutem
Richiede il
servizio di Sua Maestà (Dio guardi) che questa piazza sia ben munita per
opponersi gl’insulti ed attacchi che i nemici pretendono fare contro la medema,
per aver campo d’invaderla assieme con tutte le città e terre della sua
dipendenza. Che però siamo ad ordinarvi che al ricevere delle presenti
facessino indilatatamente uscire cotesta milizia di piede solamente per
incorporarsi sotto la bandiera e stendardo ove va designata, et indi senza
perdita di tempo conferirsi in questa sudetta città ad eseguire quel da noi le
sarà ordinato per accerto del servizio della Maestà Sua e difesa di questa
piazza e sua comarca. Il tutto eseguirete puntualmente per quanto la grazia di
Sua Maestà tenete cara, e le presenti restituirete al corriero fra il termine
di mezza ora con farli la solita ricevuta per proseguire indelatatamente il suo
camino, e Dio vi guardi.
Melazzo, 4
luglio 1718
Missegla
de ordine et
mandato illustrissimi domini de Missegla comandantis
Don Petrus
Lucifero maestro notaro
Alli spettabili magnifici et nobili signori giurati
delle città e terre di Santa Lucia, Castroreale, Rometta, Rocca Valdina,
Monforte, S. Piero di Monforte, Condrò, Venetico, S. Martino, Bavuso,
Calvaruso, Saponara, Tripi, Noara e Furnari
Capitò a 6
luglio 1718 ad ore 10 per Ignazio Imbrusciano a cui si pagarono tarì 3
[Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati
- vol. 1717/1721, anno 1718, f. 72r]
§ 2
Convocazione
perentoria del Missegla di due giurati di S. Lucia
Ordine del
signor Missegla per abbassare due Giurati in Milazzo sotto la pena della vita
naturale a 8 luglio 1718
Alli Spettabili
miei Signori e P.ni affezionatissimi li Signori Giurati della Città di Santa
Lucia
Per lo molto che
importa al real serviggio fa di bisogno che due giurati di cotesta si portano
in questa Città tra il termine di ore ventiquattro per discorrere un certo
affar importante al real serviggio et elasso detto termino ed non essequito
quanto di sopra siano e s’intendino incorsi nella pena della disgratia di Sua
Maestà e della vita naturale che il fine con il quale [segue parola di ardua trascrizione, ndr] unde
Milazzo li 8
luglio 1718
Devotissimo
servitore
Missegla
[Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati
- vol. 1717/1721, anno 1718, ff. 74r e 74v]
§ 3
Il comandante
Missegla intima la riscossione delle tande, ossia degli oneri tributari dovuti
allo Stato
Spettabili
Giurati della Città di Santa Lucia,
in risposta
della lettera delle Vostre Signorie Spettabili, nella quale mi cennano li
motivi che non possano prontamente depositare in questo Regio Depositario la
media tanda dovuta alla Regia Corte per le presenti urgenze per dover li
gabelloti delle gabelle assignate per dette tande pagarle al primo settembre
venturo. Sono a dirle che presentemente ritrovasi la cassa di Sua Maestà molta
stretta di denaro e necessitano moltissime spese a serviggio delle truppe e
fortificattione, che si prontuano per la difesa di questa Piazza. Ed essendo
maturati già due mesi di tande dovute a Sua Maestà (che Dio guardi), non
ostante la consulta delle Vostre Signorie Spettabili fatta in virtù della
presente, le ordino a nome di Sua Maestrà che fra il termine di giorni tre
dovessero depositare in questo Regio Depositario la media tanda dovuta da
cotesta città, obligando li debitori delle gabelle assignate alla solutione del
maturato sino all’ultimo di giugno, e questo senza veruna replica, così
complendo al serviggio di Sua Maestà (che Dio guardi) et contavenendo le Vostre
Signorie Spettabili alla presente ordinattione gliene intimo la pena della vita
naturale irrimediabilmente tutto mi comprometto del loro zelo verso il Real
Serviggio e restando con l’intelligenza dell’esecuzione resto.
Milazzo li 8
luglio 1718
Devotissimo
Servitore
Missegla
[Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati
- vol. 1717/1721, anno 1718, f. 75r]
§ 4
Bando per
l’acclamazione di Filippo V (13 luglio 1718)
Bando
e comandamento d’ordine delle spettabili Don Fortunato Sisilli, Don Rajmondo
Grazzia, Don Francesco Cocuzza e Don Antonio Cingales giurati di questa
deliziosa e fidelissima Città di Santa Lucia
Perché
si è per la grazia del Signore celebrata con ogni festività, applauso ed amore
l’acclamazione del nostro invittissimo e sempre augusto catolico Re Filippo
Quinto, Dio Guardi, Re delle Spagne, Sicilia etc. e quella devesi con ogni
affetto e zelo continuare.
Pertanto
in virtù del presente bando s’ordina, provede e comanda a tutte e qualsivoglia
persone di questa sudetta città e suoi casali, ed ognuno di loro di
qualsivoglia grado, stato e condizione che sia, che da questa sera innante per
tre sere continue abbiano, vogliano e debano far la luminaria solita con quella
grandezza e fausto possibile, sotto la pena di tarì 7.10 e non altrimenti unde
[Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati
- vol. 1717/1721, anno 1718, f. 84r]
§ 5
Bando dei
giurati di S. Lucia del Mela, adottato in esecuzione all’ordine del tenente
generale delle truppe spagnole Luca Spinola, che impone il divieto di fornire
qualsiasi mercanzia al centro cittadino di Milazzo
Bando
e comandamento d’ordine delle spettabili giurati di questa deliziosa e
fedelissima Città di Santa Lucia
Perché
d’ordine dell’Eccellentissimo Signore Don Luca Spinola Tenente Generale e
Governadore dell’Armi di Sua Maestà (che Dio guardi), a lettere del marchese di
Sutiro, viene ordinato di non potersi di qua innante introdurre veruna specie
di robba da niuna persona nella Città di Melazzo, altrimenti non solo tutta
quella robba si cerchirà introdurre in detta Città di Melazzo resterà per buona
presa a profitto delli soldati della prefata C. Maestà Sua, ma pure tali genti
e persone, che ciò prosumeranno fare, resteranno castigati ad arbitrio di Sua
Eccellenza, e come per dette lettere alli quali etc.
Che
però in virtù del presente bando, per non potersi allegare scusa o ignoranza
veruna, si notificano ed intimano tutte e singole le persone di questa sudetta
città, suoi casali e territorio di non prosumere contravenire a quanto di sopra
s’ha detto, che, oltre la perdita della robba detta sopra, resteranno castigati
ad arbitrio della prefata Eccellenza Sua, e non altrimenti né d’altro modo unde
etc. [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei
Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 78r]
§ 6
Bando del comandante Domenico Lucchese, emesso nella
vicina Barcellona il 29 luglio 1718, per la fornitura di viveri per i soldati del
campo spagnolo di contrada Belvedere e per la fornitura di paglia per la
cavalleria che si sarebbe accampata nella stessa località, contenente, tra
l’altro, disposizioni rivolte a salvaguardare la salute dei cavalli ed a
proibire i rifornimenti di viveri al centro cittadino di Milazzo
Signori Giurati,
Santa Lucia,
Essendo arrivato
in questo Casale di Barsalona per conferirmi dimani nel Campo di Milazzo, situato
in mezzo di Limiri e Belvedere, secondo l’ordine di Sua Eccellenza il Signor
Viceré, a fine di bloccare strettamente la Piazza di Milazzo si per constituir
l’inimico in una obligata necessità di rendersi che per liberare i loro
naturali dalle insidie del medemo, ho stimato effetto di mia obligatione
parteciparlo alle Signorie Vostre afinché faccino corrispondere alla loro
fedeltà e zelo esperimentato verso il comune Sovrano Filippo Quinto (che Dio
guardi) gl’atti d’una esatta attenzione in far trasmettere nel medemo campo e
nel quartiero generale, che ho posto in Belvedere, tutta la quantità di viveri,
d’oglio, vino, aceto, frutti, carne, pane, legumi, legni, fogliame, neve e
tutto quello e quanto è necessario per il quotidiano sostentamento de’ soldati,
incarendole, che si vendano al prezzo ordinario con la sicurezza che si pagherà
il tutto con puntualità.
E perché
necessità più d’ogn’altro la provisione di paglia per la cavalleria, si
contentino approntare con ogni sollecitudine che richiede un tanto affare,
tutta quella quantità di paglia che il loro territorio permetterà, con fare
publica contribuzione che puntualmente le sarà sodisfatta, quale con loro carri
faranno trasportare di dimani innanti nel detto territorio di Belvedere, come
pure approntare per li 31 di questo cadente dieci carri con un altr’uomo per
uno e suoi rotoni a fine di trasportarsi nell’istesso campo altra paglia, che
per conto di questa cavalleria sta riposta nella piana dell’Oliveri ed in altri
lochi li saranno designati dal nostro provveditore generale D. Paolo Zangla,
dal quale se le pagherà l’importo del viaggio.
Inoltre restino
preintese le Signorie Vostre che si proibisce, sotto pena della vita naturale,
l’entrare qualsivoglia sorte di viveri nella Città di Milazzo o dare a quella
qualche sussidio, anzi cerchino d’impedire ogni tragitto e consideratione con
quella, come mi comprometto dalla di loro fedeltà ed attenzione.
Ho stimato pure,
per dar larghezza a cotesta università, ordinarle che faccino ritirar le loro
militie ed uomini di fatto, con che stijno pronte ad ogni mio ordine.
Restino anche
preintese di far scendere l’acque per cotesto loro fiume a fin di puotersi
abeverare detta cavalleria e probire affatto li lini in detto fiume per non
ammalarsi la detta cavallaria.
E senz’altro mi
resto con assicurarle [segue lacuna nella
copia, ndr] brama che ho di farle esperimentare nelle loro [segue lacuna nella copia, ndr] la mia
prontezza e Dio le feliciti.
Barsalona 29
luglio 1718
Affezionatissimo
servitore Domenico Lucchese [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela,
Libro degli Atti dei Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, ff. 82r e 82v]
§ 7
Bando sulla fornitura di paglia emesso in esecuzione
degli ordini del comandante Lucchese
Bando e
comandamento d’ordine delli spettabili giurati di questa deliziosa e fidele
Città di Santa Lucia
Perché a lettere
dell’Illustrissimo Signor Don Domenico Lucchese Marascial di Campo di Sua
Maestà (Dio Guardi) e comandante nel Campo di Melazzo viene ordinato di doversi
inviare quantità di paglia nel loco di Belvedere per provedersi le truppe della
cavallaria che in detto loco s’accamperanno. Pertanto in virtù del presente
bando s’ordina, provede e comanda a tutte e singole le persone, padroni di
carri e cavalcature, contente nelle liste che saranno affissate, che fra il
termine di ore 24 ultime, perentorie e non prorogabili, abbiano, vogliano e
dabbano, cioè le persone che tengono cavalcature portare ed aver portato nel
loco sudetto di Belvedere un carico di paglia per ogni cavalcatura e
consegnarla al Proveditore in detto loco esistente, con ottenerne la ricevuta
di tal consegna, e quella portare nell’officio d’essi spettabili giurati, quale
paglia li sarà sodisfatta e pagata di giusto prezzo.
Ed in quanto
alli padroni delli carri per domenica prossima ventura che saranno li 31 del
corrente si debbano conferire nel loco sudetto dove sta accampato l’esercito
con li loro carri e rotoni ed un altro uomo per ogni carro per carriare la
paglia, quale è ripostata nella piana dell’Oliveri, che se li pagherà il loro
viaggio. Altrimente ogni contraventore sia incorso nella pena della disgrazia
di Sua Maestà e non altrimenti né d’altro modo unde
Cingales
iuratus, Sisilli iuratus, Raijmundus Grazzia iuratus, Cucuzza Iuratus [Archivio
Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei Giurati - vol.
1717/1721, anno 1718, ff. 91r e 91v]
§ 8
Elenco dei trasportatori di paglia
Persone che
devono portare con le loro cavalcature carrico uno di paglia per ogni
cavalcatura nel Campo di Melazzo in contrada di Belvedere fra il termine di ore
24 sotto la pena della disgrazia di S. C. M. (Dio Guardi)
Barbaro Florello
Battista Ficarra
Giuseppe Ficarra
Dionisio Scoglio
Michiel Angelo
Sterrantino
Bartolo Costa
Cajetano Dauccio
Domenico
Salvatore
Antonino Bonino
Silvestro
Bartolone
[nome non decifrabile, ndr] Mirenda
Antonio Falcone
Giovanne Timpuni
Paulino Cirino
Antonino
Margaritto
Domenico
L’Anversa
Paulo Ficarra
Giovanne
Bartolone
Cajetano Giunta
Antonino Galuppi
Domenico Di Lisi
Francesco
Florentino
Nerio Loria
Pietro Falcone
Giuseppe Mazzeo
Francesco Bucalo
Antonino Arizzi
Paulo Arizzi
Giuseppe Foti
Antonino Trefirò
Scurluni
Laurenzo Impalà
Antonino Impalà
Bennardo
Mastroeni [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti
dei Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 94r]
§ 9
Bando per non sprecare e mantenere pulite le acque
dei fiumi
Bando e
comandamento d’ordine delli Spettabili Giurati di questa deliziosa e fedele
Città di Santa Lucia
Perché comple al
servizio di S. C. Maestà Filippo Quinto (Dio Guardi) che l’acque delli dui
fiumi di questa sudetta città si mantenghino non solo in quella quantità
possibile, secondo il loro corso naturale, ma anche con ogni purità e
limpiezza, tanto per esser sufficienti all’uso delle truppe della prefata
Maestà Sua, quanto pure per non rendersi immonde e turbolente, il che sarebbe
di nocumento alle medesime regie truppe, si come ci viene ordinato
dall’Illustre Signore Don Domenico Lucchese Marescal e Generale Comandante
delle truppe di S. C. M nel Campo di Melazzo.
Intanto per
darsi l’opportuno provedimento a quanto di sopra s’è detto, s’ha stimato da
essi spettabili giurati promulgarsi il presente bando, in virtù del quale
s’ordina, provede e comanda a tutte e singole persone di questa sudetta città,
suoi casali e territorio, di qualsivoglia stato e condizione che fossero, che
da oggi innante e per l’avvenire non abbiano, non vogliano, né prosumano
prendere o divertere in tutto o in parte, etiam minima che fosse, l’acque sudette
nelli fiumi ed aquedotti di esse, né di notte, né di giorno, né per inacquare
giardini, ortaggi, canneti, né per altra quasivoglia causa che fosse. Come pure
non volere, né prosumere intorbidare e deguastare l’acque sudette con
qualsivoglia specie di tasso, lino o canapi, o altri che fossero, e questo
sotto la pena ad ogni contraventore della vita naturale, confiscazione di beni
ed altro. Nella quale pena s’intendano anco incorsi i padroni delli giardini,
lochi, canneti, ortagi ed altri, bastando per prova concludente il solo vedere
e riconoscere essere li medemi terreni ed altri inacquati e l’acqua sudetta o
parte di essa, ancor che fosse di minima quantità, essere stata presa e
divertuta dal suo legitimo corso o pure deguastata con l’ingornare lini, canapi
o tasso del modo detto di sopra, e non altrimenti né d’altro modo unde
Grazzia iuratus,
Cocuzza iuratus, Sisilli iuratus [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del
Mela, Libro degli Atti dei Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 138r e 138v]
§ 10
Ordine del Lucchesi notificato ai giurati di S.
Lucia del Mela affinché facessero radunare le guardie preposte alla vigilanza
delle marine (cavallari) nel quartier generale di contrada Belvedere
Signori miei,
conviene al
servizio di Sua Maestà (che Dio guardi) che al ricevere della presente si
contentino le Signorie Vostre, senza perder tempo, rimetter in questo quartier
generale di Belvedere li loro cavallari delle marine bene armati com’è d’obligo
intieramente per magiormente accertare le operazioni e diligenze che
attualmente si stan con tutta premura facendo per obligare l’inimico nella
piazza di Melazzo a desistersi, ai quali si daranno gli ordini necessarij e
convenienti, dovendo loro servire sì di notte, come di giorno. Ad eseguir tutto
con puntualità, tanto mi comprometto della loro attenzione e fedeltà, pagando
al corriero il viagio, secondo la tassa che seco porta e Dio lo conservi.
Da questo
quartiero generale di Belvedere
30 luglio 1718
Affezionatissimo
servitore
Domenico
Lucchesi
Capitò a 31 detto portata per Domenico Di Salvo, a
cui si pagarono tarì 2 [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela,
Libro degli Atti dei Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 90r]
§ 11
Bando per tenere pronta ed in piena efficienza la
milizia a piedi in seguito all’attacco austro-piemontese di un’imbarcazione
carica di paglia per la cavalleria
Bando e
comandamento d’ordine delli Spettabili Giurati di questa deliziosa e fedele
Città di Santa Lucia
Perché giorni
sono da galere nemiche si sono stati fatti alcuni insulti in queste nostre
marine di tramontana, non solo in aver degustato una barca seu pantorna piena
di paglia, quale serviva per mantenimento de’ cavalli delle nostre truppe nel
campo di Melazzo. E perché si dubita che per l’avvenire non continuassero tanto
forse in catturare o duguastare quella quantità di paglia, orgio, farine o
altri generi di provisione porteranno le nostre imbarcazioni in sussidio delle
truppe sudette. Pertanto in virtù del presente bando s’ordina, provede e
comanda al corpo della milizia di piede di questa sudetta città, e tutti e
singoli soldati di essa, di dovere stare bene in ordine e pronti con le loro
armi ad effetto che al primo avviso, seu al primo tiro di cannone delle galere
sudette o altre imbarcazioni inimiche, o pure al primo tocco di tamburo di
questa sudetta città, si trovassero spediti nel piano della piazza di questa
sudetta città per dovere poi indilatatamente soccorrere in quella parte ove
sarà di bisogno. E questo sotto pena à contravventori della disgrazia di Sua
Maestà ed altre pene contente nelle instruzioni militari e questo in esecuzione
dell’ordine dell’eccellentissimo signor marescal di campo Don Domenico
Lucchese, e Generale nel Campo di Melazzo, e non altrimenti né d’altro modo
unde [Archivio Storico del Comune di S. Lucia del Mela, Libro degli Atti dei
Giurati - vol. 1717/1721, anno 1718, f. 129r e 129v]